Lo storytelling è, prima di tutto, una questione di identità.
La filiera dell’internet economy, come ha scritto Chris Dixon, cofondatore di Founder Collettive e noto investor di neo-imprese tecnologiche, comprende una serie di intermediazioni non solo dovute agli strumenti utilizzati, ma ai canali e ai circuiti del web. A guardare bene, il main loop, sia che si tratti di servizi o beni digitali, sia che si tratti di prodotti fisici (con il ricorso a una distribuzione esterna) implica alcuni passaggi che prevedono l’influenza degli utenti che, sempre più spesso, vengono orientati al consumo da ben precise strategie di marketing digitale.
Renato Vichi, Head of Media Relations Italy di UniCredit, tempo fa ha affermato: “Io non credo allo storytelling, ma al valore dei contenuti. Un’azienda si racconta da sola, trasmette contenuti e messaggi. Il comunicatore dev’essere in grado di valorizzare il DNA di un’azienda e trasformarlo in messaggi e strategie chiare e intellegibili. Non servono stregoni o maghi del racconto”.
Questa affermazione, piuttosto netta, ci aiuta a fare chiarezza sul fenomeno dello storytelling. Appare evidente come la traduzione del termine, ovvero il raccontare le storie, possa fare pensare in prima istanza alla dimensione della narrazione letteraria. In tal senso, se per stregone intendiamo lo scrittore, nella misura di colui che crea un racconto grazie a un’ispirazione facendo ricorso a strutture e modelli parte di una specifica bibliografia dei tipi letterari, forse Renato Vichi ha ragione. Ma, a ben vedere, la questione è più complessa e fa riferimento allo schema con il quale Dixon ha descritto il loop della digital economy per parte user.
Il punto è che, molto al di là dell’aneddotica che sintetizza in una sinossi una storia, esiste la necessità di generare un ambiente che possa trattenere un consumatore negli spazi del web. Un ambiente narrativo, diciamo, che a differenza del prodotto finzionale non ha un inizio né una fine precisi ma, per sua natura, si spezzetta in un continuo rimando e rimescolamento di contenuti da canale a canale, da circuito a circuito.
Ergo: non basta che un’azienda abbia un’identità forte per costruire significato. Spesso, soprattutto di fronte al continuo moltiplicarsi degli strumenti a disposizione, la strategia più efficace è la costruzione di un tema che sia in grado di esprimere i valori indentitari più forti fino allo sviluppo nelle tante forme previste dai linguaggi e, soprattutto, dai formati del digitale e dalla necessità di tenere viva e reattiva la partecipazione.
Un esempio può aiutarci a capire: nel 2013 Ikea Spagna tira fuori uno spot dal titolo Empieza Algo Nuevo e lo fa senza mai riferirsi in modo diretto all’azienda o al prodotto. Il videoclip ha come protagonista una persona anziana che trova occupato il posto nella panchina dove è solito passare le giornate con altri coetanei. Il ricorso a una sedia pieghevole (una semplicissima sedia che è possibile trovare, ad esempio, da Ikea), gli cambierà la vita spingendolo a spostarsi di posto in posto e facendogli ritrovare la vitalità e il dinamismo necessari ad aprirsi a nuove esperienze. Come sia sia, comincia qualcosa di nuovo… spezza la routine e arreda la tua mente con nuove abitudini (habit, in inglese mentre inhabit vuol dire abitare).
La forza di questo video non è certamente nella storia in sé. Non si tratta in alcun modo di genialità autoriale né c’è traccia di una vera e propria trama. Eppure il significato è efficace quanto basta per farci riflettere su un preciso stile narrativo. Come nel caso del movimento politico Podemos che nel 2016, con un’intuizione davvero sorprendente, realizza il proprio manifesto politico ispirandosi proprio ai cataloghi Ikea. La dichiarazione di Podemos è piuttosto precisa:
“Niente più depliant o pagine e pagine di intenti: i candidati di Podemos sono fotografati, nelle loro case, durante momenti della vita di tutti i giorni. Grafica, impaginazione, foto sono molto simili al catalogo distribuito dal colosso svedese dell’arredamento low cost. L’idea è di Carolina Bescansa, numero 3 del partito di Pablo Iglesias, che dice: «Sarà il programma più letto di sempre». Se così sarà , si capirà (forse) dall’esito delle elezioni in Spagna il prossimo 26 giugno. Intanto l’idea sembra piacere. Tanto che Podemos ha messo in vendita la versione cartacea a 1,80 euro. Per ora, insomma, un primo ritorno già c’è”.
C’è da chiedersi quale possa essere stata la strategia per una scelta del genere. Vediamo: senza dubbio lo stile grafico giovanile che si ispira al design, l’idea di dosare in modo equilibrato le parole e le immagini (quella leggerezza nella fruizione che caratterizza i punti vendita del gruppo svedese), l’ironia che, come sappiamo, ispira curiosità tanto quanto la creatività della trovata. Alla fine, l’idea che tanto quanto i prodotti IKEA un programma politico sia prima di tutto un catalogo di idee costruite a uso e consumo degli altri. La regola aurea, quindi, che vuole che un’azienda non sia necessariamente il suo target, ma che debba provare a coinvolgere consumatori e utenti anche molto diversi dai cluster che sono stati studiati a tavolino con le indagini di mercato o con le tradizionali tavole sinottiche.
Oggi definire un utente medio vuol dire saper entrare e uscire in nicchie diverse, spesso ad opera di uno stesso consumatore. Non c’è più la presupposta garanzia di scientificità.
L’immaginario collettivo muta continuamente seguendo andamenti scostanti i cui picchi sono fenomeni culturali anche casuali, risultato di gestazioni spontanee e senza altra pianificazione che l’effetto moltiplicatore di nuovi comportamenti.
#storytelling #sensemaking #contentdesign #contentstrategy #ikea #podemos