I contenuti non si fanno mai a caso.
A settembre-ottobre 2022 Brandwatch licenziava una survey per mettere a fuoco le competenze prioritarie dei professionisti impegnati in lavori digitali. Con il 63% la content creation si è piazzata al primo posto. Eppure, e la prova è quello che si legge sui social tipo LinkedIn, il concetto di contenuto appare ancora confuso.
In che consiste, infatti, creare il contenuto e quali sono i problemi che rendono questo tipo di professione così difficile da definire?
La risposta potrebbe essere. Il contenuto è tutto e niente.
Il contenuto è l’utente X che si alza la mattina e posta sul suo profilo Instagram la sua foto mentre si fa il caffè; o è l’ultima coreografia virale di TikTok. Il contenuto sei tu che ti indigni per una notizia che si scontra con il tuo sistema di valori; o è un format su YouTube in cui un ragazzo mostra come risolvere una situazione di stallo su un videogame.
Il contenuto c’è e non c’è perché ad esserci del tutto, fino a prova contraria, sono i contenitori. E questo è il punto.
Quante sono le aziende, quante sono le agenzie ormai convinte che il contenuto sia il semplice elemento di una strategia di marketing? Una roba necessaria a occupare pagine, spazi, CONTENITORI. Una roba di follower e visualizzazioni legata a termini come RICONVERTIRE, MONETIZZARE, ATTENZIONARE (Mio Dio)?
In un certo senso, sono questi approcci ad aver generato l’equivoco de Il contenuto è per forza…
In questo scenario tornano una serie di fattori, a mio avviso non del tutto positivi:
1 – una scarsa attenzione allo studio delle reali necessità di un’azienda produce una comunicazione fuori fuoco, sia dal punto di vista dell’identità del brand che da quello dei progetti;
2 – l’effetto di contenuti clone uno dell’altro si deve all’equivoco per il quale seguire l’hype vuol dire far parte del dibattito realtime. Utile, ma non distintivo;
3 – il livello molto ampio di accessibilità dei media digitali e l’effettiva possibilità d’uso di tools e strumenti creativi ha diffuso la convinzione che tutti siano creatori e abbiano qualcosa da dire;
4 – l’ambivalente incapacità di distinguere la quantità dalla qualità, il presenzialismo dalla presenza genere flussi enormi di contenuti trascurabili.
Tutte queste voci esprimono una preoccupazione.
Il contenuto non è un semplice riempitivo tra l’azienda e i clienti o gli utenti.
Il contenuto è la rappresentazione narrativa della catena del valore che si costruisce ogni giorno cercando il senso di quel che si fa come impresa e come organizzazione per il mondo, il territorio, la comunità. Anche attraverso il prodotto, anche per mezzo d’un servizio.
Se davvero si intende superare i confini della pubblicità, allora dobbiamo fare un passo indietro e chiederci il perché inondare le pagine dei social di articoli e informazioni che hanno come unica ragion d’essere la richiesta d’attenzione.
Molti cercheranno di capire dove io stia andando a parere.
È presto detto: non esiste più forma di comunicazione che non abbia uno scopo etico.
Non esiste perché ci troviamo in uno spazio-mondo che chiede di superare il tanto citato effetto wow con la riorganizzazione del pensiero e con la divulgazione di conoscenza e di strumenti crescita che riguardino e interessino tutti.
Se vuoi fare un format, pensa al perché prima che al come; se vuoi fare un evento, dagli senso; se vuoi pubblicare un magazine, chiediti per dire che cosa; se vuoi coinvolgere le persone in un’iniziativa, un’idea, fallo partendo da qualcosa che possa riguardarli.
Ma fallo perché lo senti e non perché lo devi fare o perché si fa così e punto.
L’idea di campagna, l’idea di progetto necessari alla strategia corporate certo continuano ad avere senso, ma siamo in una nuova era. Le priorità stanno diventando altre.